“Ve l’avevo detto. Questa è una rivoluzione!”. Emanuele Bezzecchi ha 40 anni ma, per entusiasmo e creatività, ne dimostra 20 di meno. Ingegnere aeronautico arrivato in Leonardo dieci anni fa, è stato tra i primi – tra il 2016 e il 2018 – a introdurre in azienda i temi dell’intelligenza artificiale e del digital twin. Forte di dieci premi innovazione vinti consecutivamente, Emanuele è ora AI Roadmap Manager e Responsabile dei Leonardo Labs presso Leonardo Helicopters, a Cascina Costa. Ma l’ingegner Bezzecchi non si è dedicato da subito all’innovazione tecnologica. Con in tasca un diploma di laurea al Politecnico di Milano e un master all’Ecole Polytechnique, ha dapprima deciso di trasferirsi in Francia. “Ho lavorato come Business Manager e responsabile commerciale in aziende francesi. Poi il colpo di testa: ho aperto un ristorante ad Aix-en-Provence. Quando è finita la relazione con la mia fidanzata di allora sono tornato in Italia, cogliendo l’opportunità di un master di secondo livello al Politecnico di Milano in collaborazione con AgustaWestland. Il mio è stato un percorso al contrario: sono diventato un tecnico all’età di 30 anni…”.
Dieci anni possono rappresentare un secolo per chi si occupa di innovazione tecnologica. Emanuele, “smanettone” del computer sin da ragazzo, ha giocato d’anticipo. E ha cominciato a occuparsi di intelligenza artificiale ben prima di molti: “Nel 2016 mi sono innamorato dell’AI. All’epoca era un mondo nuovo, da creare e da esplorare nelle sue infinite possibilità. Nell’AI Community ho conosciuto Roberto Cingolani, oggi Amministratore Delegato e Direttore Generale di Leonardo, e sono entrato nel progetto dei Leonardo Labs. Una vera rivoluzione. Sull’onda dell’entusiasmo, ho iniziato a scrivere e a proporre progetti sull’innovazione applicata all’elicotteristica”. Ciascun progetto gli è valso un Leonardo Innovation Award. Su dieci premi conquistati, tre sono quelli che gli stanno più a cuore: il Flight Condition Recognition (“attraverso le reti neurali mappiamo lo stato dell’elicottero e il suo comportamento in volo”), i Virtual sensor (“sulla base dello storico del volo di un elicottero, i sensori virtuali inseriti in un prototipo consentono di capire il comportamento della macchina e di individuare eventuali malfunzionamenti”), e il Virtual Design Environment (“quasi un antenato del digital twin, in grado di mettere assieme il software con il simulatore per consentire di testare diverse tipologie di macchine”). Tutti progetti, questi, che non sono rimasti sulla carta ma che sono realtà tutt’oggi funzionanti. “Così, se prima eravamo ‘quattro ragazzi in un garage’, ora siamo diventati 15. Presto – annuncia Emanuele – saremo in 25, con obiettivi cadenzati e tematiche ben definite quali l’AI, l’autonomia, i materiali avanzati, l’elettrificazione, il quantum technology. Possiamo fare affidamento su un budget per la ricerca e lo sviluppo che, nel settore elicotteri, ho visto decuplicare nel giro di pochi anni”.
Il suo team ha un’età compresa tra i 24 e i 40 anni, e l’ingegner Bezzecchi è ottimista sui nuovi arrivi: “In Leonardo si ha la possibilità di vedere e fare moltissimo. La scelta è amplissima, per cui alle giovani e ai giovani laureande/i e laureate/i dico sempre che questa è un’ottima palestra per chi ha voglia di lavorare e imparare”. La verve di Emanuele è contagiosa ma, d’altronde, “chi fa innovazione deve essere ottimista”. Anche nelle tante passioni che coltiva fuori dal laboratorio: la scrittura (ha appena pubblicato il volume Intelligenza artificiale. Farsi le domande giuste, capire gli scenari futuri e usare in modo smart l’AI generativa, Vallardi Editore), il volontariato e la cucina. “Sì, cucino ancora e qualche mese fa ho partecipato a una puntata di Cortesie per gli ospiti, la nota sfida culinaria in tv. Io e il mio amico Andrea abbiamo proposto un menù realizzato con l’intelligenza artificiale. Certo, quando l’AI ci ha proposto uno spritz con l’acqua delle cozze qualche correzione si è resa necessaria”. Chi ha vinto? “Noi, naturalmente, con il menù ‘mega-bite’”. Resta il dubbio se il calembour tra “byte” (unità di misura) e “bite” (morso) sia stato frutto dell’intelligenza artificiale o dell’umana sagacia.